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I miti post atomici e la leggenda di Izza e Fala

Il mondo di Mutant Year Zero potrebbe sembrare il solito wasteland post-apocalittico, però ha un'identità tutta sua, più caricaturale ma non per questo meno drammatica. E poi ovviamente ci sono i mutanti, che qui rappresentano i protagonisti indiscussi di tutta l'opera. La civiltà come la conosciamo si è estinta tempo fa per via delle guerre e della peste rossa, e al suo posto non resta che un cumulo di sopravvissuti male organizzati e stanchi, che per tirare avanti si raggruppano in piccoli insediamenti: fra questi, disperso in mezzo alle foreste svedesi, c'è n'è uno chiamato l'Arca, una specie di formicaio fatto di metallo e macerie ammassate, dove uomini e mutanti vivono insieme. In questo piccolo ecosistema le creature finiscono per diventare stalkers, ovvero dei ranger che vagano per i boschi in cerca di ferraglia riciclabile.

Inutile dire che la vita nell'Arca non è facile, e con le scorte che cominciano a scarseggiare la situazione sta precipitando velocemente. Fuori non c'è niente, anzi c'è la morte, che si manifesta sotto forma di gang di predoni, bestie deformi, androidi fuori controllo e infine quelli che la gente chiama "ghul", ossia i discendenti degli umani infettati dalla peste rossa, diventati un esercito di folli degenerati ed assassini.

Insomma un bel quadretto, e in mezzo a tutto questo agiscono i nostri protagonisti: Bormin è un cinghiale antropomorfo, una roccia con senso dell'umorismo pari a zero ma che ha coraggio da vendere, seguito a ruota dal suo amico Dux, che invece è un papero irascibile, nervoso e anche un po' pavido, ma innegabilmente divertente. In una delle loro solite ronde scoprono che Hammon, una delle figure chiave dell'Arca, è sparito, e neanche a farlo apposta a loro tocca il compito di organizzare una spedizione di salvataggio, che li costringerà a spingersi fin dove nessun altro era mai arrivato. Lungo il cammino incontreranno altri mutanti, dovranno fare i conti una setta di catastrofisti adulatori dell'apocalisse, e durante la discesa nel wasteland (qui chiamato semplicemente "la zona") scopriranno che le loro piccole esistenze sono legate ad un grosso segreto, connesso in qualche modo ad una specie di terra promessa che tutti chiamano Eden.

Quanto appena descritto non è nient'altro che l'incipit dell'avventura, semplice ed essenziale: anche la storia che segue, in ogni caso, si rivela abbastanza lineare e un pure un poco prevedibile. Sembra una quest introduttiva, che lascia inevitabilmente pensare ad un nuovo seguito. Non ci sono colpi di scena da applauso incontrollabile, non succedono chissà quali eventi durante il viaggio e tutto scorre senza troppi guizzi fino alle ultime battute, che arrivano dopo circa una ventina di ore di campagna. Attenzione, però: Mutant Year Zero si difende comunque bene sotto questo punto di vista, e riesce a conquistare grazie ai suoi personaggi ben sviluppati e alla sua atmosfera riuscitissima, alla quale ha contribuito ovviamente il profondo background su licenza.

Il resto del racconto passa attraverso una manciata di cutscene stile graphic novel, biglietti disseminati per il mondo di gioco ed una buona mole di dialoghi (tutti doppiati in inglese e sottotitolati in italiano); l'Arca è innanzitutto un vero e proprio hub, con negozianti sempre disposti a scambiare due parole ad ogni vostro ritorno, ma il punto di forza sono le chiacchierate durante le fasi esplorative. A seconda della composizione del vostro party assisterete a commenti diversi, botta e risposta, battute e pensieri detti ad alta voce dai protagonisti, che ispessiscono il profilo del racconto. Niente discorsi teologici, s'intende, si tratta perlopiù di ragionamenti spiccioli, conditi dal solito cinismo codardo di Dux, che però funzionano piuttosto bene e sono in grado di caratterizzare adeguatamente ogni spedizione. Magari la trama principale non vi sconvolgerà le viscere, però è molto probabile che alla fine dell'avventura quel manipolo di mutanti e i loro strambi discorsi si ritaglieranno un posto nella vostra memoria. E a tal proposito, un plauso spetta agli autori, che hanno saputo strapparci ben più di una risata con le loro trovate. Dovete infatti immaginare che i protagonisti non conoscono quasi nulla della nostra epoca: pertanto aspettatevi una valanga di humor postatomico, con ipotesi azzardate e riflessioni assurde praticamente su ogni oggetto vintage che incontrerete sul vostro cammino. Dal tostapane al Commodore64, passando per il defibrillatore e l'ipod, ma anche l'insegna semidistrutta di un fast food, che dopo anni nel wasteland si trasforma da "Pizza e Falafel" nella leggenda metropolitana di "Izza e Fala".

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